Oliveto Lucano |
Un po' di storia... Sulla base di constatazioni storico-ambientali abbiamo ipotizzato un modello di utilizzazione del territorio che prende corpo intorno all'antico centro lucano di Croccia-Cognato. A partire dal VII secolo a.C. inizia quello che gli storici individuano come fase di integrazione tra la colonizzazione magno-greca della costa e le popolazioni lucane dei rilievi interni. Come è noto, i greci colonizzarono le coste joniche fondando città come Metaponto, Siris, Heraclea. Da queste, attraverso le naturali vie di penetrazione quali i fiumi lucani (Bradano, Basento, Cavone, Agri e Sinni), raggiunsero i territori interni diffondendo la civiltà ellenica e commercializzando i prodotti della città magnogreche. Nel nostro caso specifico, gli Achei, partiti da Metaponto, risalendo il Cavone e il Salandrella raggiunsero il sito di Garaguso, successivamente attraverso il torrente Pisciolo arrivarono nell'attuale territorio di Oliveto Lucano da cui era facile raggiungere, servendosi di un tratturo di crinale, Croccia-Cognato. Se è vera l'ipotesi dell'esistenza di questo asse di comunicazione che da Croccia-Cognato portava a valle passando attraverso l'attuale abitato di Oliveto Lucano, è chiaro che questo sito per la sua posizione doveva avere un ruolo naturale di avamposto. Infatti, analizzando la posizione geografica ed orografica di Oliveto Lucano, si evidenziano due fattori principali: 1) la posizione orografica dello sperone si prestava benissimo ad un avamposto di osservazione che dominava la valle sottostante ed era nello stesso tempo difficilmente accessibile da questa; 2) da questo promontorio si poteva comunicare facilmente attraverso dei segnali, con la retrostante città di Croccia-Cognato. È chiaro che come avamposto doveva essere molto più utile quando, nel IV secolo a.C., Croccia-Cognato alleata in confederazione con le altre città lucane dell'interno (Satrianum, Torretta di Pietragalla, civita di Tricarico, Anzi, etc.) si scatenò contro le colonie greche della costa. Da ciò è possibile che si sia avuta un'organizzazione interna creando sia forti difese per i propri insediamenti (si vedono le mura di Croccia-Cognato) che santuari e avamposti di avvistamento in diversi punti del proprio territorio. Quindi è probabile che nel punto più alto dell'attuale Oliveto Lucano, dove oggi è situata la Cattedrale, ci fosse una torre di avvistamento che divenne polo di attrazione quando la città di Croccia-Cognato, assoggettata dai Romani, perse d'importanza. In questo periodo potrebbe essere stato un casale più o meno fortificato, capace di mantenere una struttura di potere o comunque di aggregazione di una vasta area di territorio. Ma lo sviluppo e la configurazione dell’attuale nucleo antico di Oliveto Lucano è sicuramente di origine medioevale, così pure i segni di utilizzazione del territorio ancora fortemente evidenti. Alla stabilizzazione politica e territoriale dell'Impero Romano seguì una dura storia di dominazioni, di spartizioni e di sistematici saccheggi che forze esterne alla regione (Bizantini, Longobardi, Arabi, Saraceni, etc.) imposero a questi luoghi. Fu il momento in cui il territorio, i centri abitati si configurarono per adattarsi alle nuove esigenze economiche di difesa e di potere. Si formò un nuovo equilibrio territoriale che vedeva i centri abitati per lo più localizzati nella aree di media collina e di montagna, nascosti dalla pianura su crinali aggrappati su versanti, ben difendibili dall'attacco di predoni, ai margini tra aree coltivate delle quote più basse ed i pascoli, ed i boschi delle quote più alte. Questo tipo di localizzazione a mezza costa dell'insediamento, consentiva di sfruttare ed integrare le risorse produttive di tre fasce altimetriche del territorio: 1) la fascia più bassa, della pianura e della media collina, destinata alle aziende cerealicole; 2) la fascia intermedia nelle immediate vicinanze del centro abitato, dove non mancavano fonti di approvvigionamento dell'acqua, era sfruttata da piccoli appezzamenti coltivati ad orti. oliveti e vigneti; 3) la fascia più alta era legata all'attività silvo-pastorale: allevamenti semibradi nei pascoli montani e sfruttamento di legname e frutti di boschi. La pianura impaludata era, invece, abbandonata alle grandi estensioni dei latifondi feudali solo sporadicamente abitati in piccoli casali fortificati. Unica attività in qualche modo organizzata che si rendeva possibile era quella della pastorizia. Si basava sull'utilizzazione di immensi patrimoni di terre incolte e sull'esistenza di una rete di itinerari che rendevano possibile la transumanza collegando le pianure marine e gli altipiani di media collina nel periodo invernale, ai pascoli montani nel periodo estivo. Un modello, quello feudale, di organizzazione territoriale ed economica costituito da piccole comunità chiuse, senza adeguati scambi e sbocchi commerciali,sottoposto a giurisdizioni vessatorie ed arbitrarie che emarginavano i ceti più deboli, artigiani e contadini, dalla conquista della proprietà della terra e di più elevati livelli di vita. Questo modello di organizzazione territoriale fondato su tre elementi: piccole comunità, insediate in vasti territori allo stato semi-naturale, in condizioni di acuto isolamento è purtroppo rimasto, ad Oliveto Lucano inalterato per secoli e si presenta in tutta la sua gravità ai giorni nostri. Ripercorrendo la prima fase di sviluppo urbano di Oliveto Lucano ci si accorge che, probabilmente punto strategico fortificato di osservazione ai tempi dello splendore di Croccia-Cognato, vi si sviluppò intorno un casale in epoca romana fino a diventare un vero e proprio borgo nel medioevo. Borgo la cui unica giustificazione era di mantenere una struttura urbana e di potere in una vasta area sfruttabile nei modi precedentemente descritti. Non avendo altre risorse che la potenzialità del territorio, la popolazione era intimamente regolata da questa economia chiusa: la dimensione demografica non ha mai superato apprezzabilmente il migliaio di persone. Un rapporto proporzionale tra risorse e popolazione legato allo sfruttamento del territorio: l'agricoltura non intensiva, a campi aperti, tipico delle zone montane (con il centro abitato posto in una posizione baricentrica del territorio per permettere uno spostamento giornaliero nel contado) e la pastorizia legata alla transumanza. Una comunità chiusa in cui si sviluppano delle consuetudini comunitarie legate alle origini e alle esigenze proprie della popolazione, che ne definiscono il carattere, la cultura, ma anche l'isolamento, il ritardo dello sviluppo che limita l'evoluzione dei meccanismi di sfruttamento delle risorse. Lo sviluppo del borgo di Oliveto Lucano nel medioevo, probabilmente, si articolò, come si è detto, intorno ad una preesistenza di antiche origini ad economia prevalentemente agricola e pastorale. Forse con qualche forma di specializzazione e commercializzazione di olio, olive, da cui ne deriverebbe il nome, del resto conserva ancora l'antico organismo economico e lo denuncia attraverso la sua struttura urbana. Il paese sorge su uno stretto e lungo roccione delimitato da profonde gole erose da due torrenti (Pisciolo e un suo affluente) che confluiscono ad est. L'agglomerato medioevale occupa il pianoro più alto e più largo del roccione e presenta la caratteristica pianta a fuso di acropoli. Resta solo la zona ad ovest accessibile che funge da vero e proprio cordone ombelicale con il piede della montagna di Croccia-Cognato. È un percorso di crinale che conduce al punto più alto del promontorio, in cui doveva essere localizzata una torre, un nucleo fortificato o, ancora, un santuario. Proprio queste due preesistenze, l'asse di crinale e l'elemento puntuale nella parte più alta, combinate con l'orografia del luogo sono stati i punti determinanti della morfologia dell'abitato. L'asse di crinale diventa l'asse principale di impianto (coincide più o meno con l'attuale via del Popolo) e l'elemento puntuale diventa generatore di raggi concentrici nella parte ad est formando dei percorsi a quote più basse del promontorio che si raccordano quasi parallelamente all'asse principale seguendo le curve di livello (attualmente identificabili in via regina Elena e Via Montebello). Vari percorsi trasversali alle tre strade longitudinali, completano il sistema lasciando ampi spazi per slarghi e piazzette e scendono ripidamente con gradinate, per le differenti quote delle strade principali, verso l'esterno dove il colle roccioso strapiomba sulle due valli. Mentre lo schema di impianto è rimasto inalterato per secoli, non si può dire lo stesso del centro abitato: probabilmente distrutto più volte da incursioni saracene e da calamità naturali (es. il terremoto del 1694 che arrecò notevoli danni - citato dal Giustiniani), nel corso dei secoli e per essere rifunzionalizzato dalle esigenze della popolazione e dei vari signori locali. Da una lettura dell'attuale struttura morfologica dell'abitato e dalle pochissime notizie a noi pervenute si può definire quale doveva essere la struttura del centro abitato. Gli elementi predominanti l'abitato erano il castello, riconoscibile fino a pochi anni fa (oggi sono visibili solo le mura di epoca probabilmente quattrocentesca) e la chiesa (probabilmente di origine medioevale). I restanti elementi erano moduli abitativi accostati adattati al1e diverse circostanze orografiche. L'unico blocco edilizio di una certa rilevanza e compattezza doveva essere a nord, lungo l'attuale via regina Elena, tanto da formare una muraglia di difesa verso le zone orograficamente più pianeggianti e accessibili al borgo. Muraglie in cui erano situate delle porte o strettoie d'accesso facilmente difendibili. Le prime notizie di Oliveto Lucano si trovano in bolle del 1060, 1070 e 1183 (Di Meo - annuali). Nel 1150 Oliveto Lucano era feudo di un certo Marellano che riceveva una rendita di 40 once (Di Meo - annuali). Seguirono i Bossati agli inizi del '300. Da Carlo I D'Angiò, Oliveto Lucano fu dato insieme a Pietrapertosa a Guglielmo Grappino, passò a Giovanni suo figlio, poi al nipote Guglielmo nel 1323 ed al pronipote Girolamo. Da quest'ultimo nacque Antonio che nel 1382, ribelle al re, perdette i feudi. I Grappino riebbero poco dopo i feudi, perché nel 1400 era signore di Oliveto Lucano Giozzolino Grappino dal quale discese Nicolò Gasparre, Melchiorre e Marino. Quest'ultimo sposò Giustina della Marra nipote del Conte di Aliano da cui fu ucciso nel 1481 lasciando il piccolo Nicolò erede. Nicolò Gasparre sposò Luchina Caracciolo e da questa unione nacquero solo due donne Violante e Laura. Violante sposò Ferrante Diazgarlon conte di Alife portando in dote Oliveto Lucano e Pietrapertosa. Così il feudo dai Grappino passò ai Diazgarlon. Ferrante morì nel 1518 lasciando i feudi al figlio Antonio e da questo al figlio Ferrante. Per rovesci di fortuna i feudi furono venduti nel 1557 ed Oliveto Lucano fu acquistato da Prospero Suardo passando poi a Francesco Suardo, che nel 1572 lo vendette a Girolamo de Leonardis. A Girolamo successe nel 1669 Achille de Leonardis ed infine il feudo andò alla Duchessa di Carinara che lo cedette nel 1715 a Gerolamo de Lerma. Da Gerolamo lo ereditò Francesco de Lerma, duca di Castelmezzano, che alla sua morte nel 1764 passò al fratello Baldassarre. Morto costui fu ultimo barone di Oliveto Lucano Gerolamo de Lerma. Il susseguirsi di casali nobiliari soprattutto piccole comunità mantenute chiuse e senza scambi commerciali come lo era Oliveto Lucano, permetteva a questa classe baronale ogni forma di vessazione o vincolo giuridico più o meno arbitrario tanto da isolare il popolo contadino e artigiano come unico soggetto fiscale chiamato a versare tributi la cui esosità ed assurdità è ampiamente nota. Una classe che imponeva sempre più i propri privilegi con soprusi e sfruttamenti operati a danno della popolazione. Se si pensa che in Basilicata alla metà del XIX secolo la classe baronale ed ecclesiastica, pur rappresentando il 10% dell'intera popolazione, controllava il 60% dell'intera ricchezza fondiaria ed il 90% di lutto il patrimonio immobiliare, si riesce a cogliere la drammaticità delle condizioni della quasi totalità della popolazione. Riportiamo qui di seguito uno scritto di Giuseppe e Vittorio Sebastiano tratto da Dati e Note storiche sul movimento demografico del Materano nell'ambito generale della Basilicata, che specifica il rapporto del potere baronale con la popolazione di Oliveto Lucano:
La conferma della miseria della gente si evince da un documento del 1785 ove è scritto che in Serrantica e Serracavallo non si ricavava alcun terraggio a causa che son tutti frattosi, macchiosi e boscosi, e non trovansi da affittare. Il barone li usava per il pascolo dei propri animali. Una tale situazione non poteva non produrre esasperazione e far esplodere violenti conflitti, il che avvenne nel 1792, allorché il luogotenente fu costretto, per sfuggire alla plebe insorta, ad abbandonare il centro abitato. Verso la fine del settecento il Giustiniani osservava che Oliveto Lucano non era un sito molto felice. Gli abitanti erano in tutto 700, dediti alla coltivazione del grano e della vite, integrata da una modesta pastorizia. Vi era anche un monte frumentario che non produceva utilità alcuna per i poveri braccianti del luogo. Al termine del secolo 1799-1800, l'Università iniziò la lotta per l'affermazione dei propri diritti e reclamò al Sacro Regio Consiglio contro le prepotenze del feudatario Girolamo de Lerma, proponendo 11 capi di gravezze. In tale occasione l'Università fece presente che le sfrenate usurpazioni ai danni del proprio demanio erano già state in precedenza rivelate nel verbale del tavolario Gallerano, in cui si descrisse lo stato del Paschiero (zona centrale del feudo) nel 1714. Dalla sentenza scaturì una ingiunzione nei confronti del feudatario di non molestare più l'Università ed i singoli cittadini nell'esercizio dei loro diritti sul suolo del demanio universale. Tra l'altro il feudatario doveva concedere suolo edificatario a chiunque ne facesse richiesta e non doveva porre divieti alla costruzione di forni e mulini sul suolo dei cittadini. Ma le condizioni della gente non migliorarono di molto in termini economici dopo la sentenza del Sacro Regio Consiglio nel 1799-1800 se non altro per l'incapacità che essi avevano di difendersi, essendo tutti analfabeti. Neanche le leggi eversive della feudalità produssero tempestivamente quei risultati che i cittadini attendevano da secoli. Esse non furono applicate per Oliveto Lucano, tanto che il Sindaco nella protesta al Regio Commissario Acclavio del 27 agosto 1811, così scriveva:
L'istanza produsse qualche effetto e forse fu la prima volta per il paese che la forza del diritto prese il posto del diritto della forza. Così ebbero fine anche le assurde tasse che si pagavano per le porte di casa che si affacciavano sulle strade come pure quelle per il possesso di pagliai, ovili, orti. Ma la lotta per i diritti non era ancora terminata, in quanto i cittadini non si trovavano in condizioni di poter godere praticamente degli usi civici sulle difese ex-feudali di Serracavallo e Serrantica, a causa dello smarrimento degli atti del 1815. Il comune col pietoso mezzo delle volontarie offerte dei cittadini fece causa nel 1857 e riuscì a spuntarla soltanto nel 1881, grazie anche al ritrovamento, dopo estenuanti ricerche, di una parte dei documenti andati smarriti. Tra le tragedie di questo paese si verificò pure il saccheggio del brigante Auletta del 1861, che fu di una ferocia così inaudita che pare si indignasse lo stesso Borjes, presente ai fatti, che considerava il brigantaggio solo come lo strumento politico per la reazione borbonica. Con l'unità d'Italia l'economia povera e arretrata di Oliveto Lucano e più in generale della Basilicata non accenna a cambiare, anzi, per certi versi peggiora. L’apertura delle barriere doganali e della politica fiscale favoriscono le regioni più sviluppate soprattutto quelle industrializzate del nord, mentre portano al depauperamento economico le già deboli attività produttive meridionali. Scrive Calice:
Bibliografia
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progetto realizzato con i fondi dell'U.E. - POR 2007/2013 - Misura IV.2.1 - Azione B
Maggio Olivetese
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